Roma, 17 giugno 2025 – I mercati scommettono su una guerra lampo e tirano un sospiro di sollievo dopo aver bruciato, venerdì, circa 200 miliardi di euro. Ieri quasi tutti i listini europei hanno chiuso in rialzo: da Milano (+1,2 %) a Parigi e Francoforte (+0,7 %). Lo stesso è avvenuto, sempre ieri, all’apertura delle contrattazioni a Wall Street. Hanno invertito la rotta anche i contratti sul greggio WTI e Brent, i due principali benchmark petroliferi, scesi del 3,4% rispettivamente a 69,5 e 71,4 dollari al barile. Allarme rientrato, almeno per il momento, anche per il traffico nel fondamentale Stretto di Hormuz, crocevia del commercio petrolifero mondiale, dove si è registrato solo un lieve calo: 111 navi transitate il 15 giugno contro le 116 del 12 giugno, elemento che suggerisce l’assenza di interruzioni significative dei flussi di greggio.

Se dovesse concretizzarsi una ripresa dei colloqui, ciò potrebbe ridurre ulteriormente le tensioni sul mercato energetico globale e favorire una stabilizzazione delle quotazioni. Ma è presto, ovviamente, per abbassare la guardia e archiviare l’emergenza. Gli effetti per famiglie e imprese della guerra fra Israele e Iran potrebbero infatti essere pesanti, soprattutto se si arrivasse al blocco dello Stretto di Hormuz. In tal caso si verificherebbe una strozzatura dell’export di petrolio di Emirati, Kuwait e Iraq, e il prezzo del greggio potrebbe addirittura raddoppiare rispetto alle quotazioni di ieri. Qualche segnale di preoccupazione è già emerso con l’impennata del prezzo della benzina fino a 1,7 euro al litro. E la fiammata dei prodotti energetici avrebbe effetti a cascata sui prezzi di tutte le materie prime. A pagarne le conseguenze più pesanti sarebbero Paesi come l’Italia, dove i costi di un prolungamento del conflitto potrebbero attestarsi, nel breve periodo, fino a 10 miliardi di euro. Il nostro Paese, che importa oltre il 90% del gas naturale e il 95% del petrolio che consuma, è fra i più esposti in Europa alle fluttuazioni dei prezzi energetici. Gli aumenti di gas e petrolio registrati il 13 giugno, poche ore dopo l’attacco di Israele, si sono subito riflessi sui costi dell’elettricità, dato che circa il 40% della produzione elettrica nazionale dipende dal gas. Un incremento del 10-15 % dei prezzi del gas potrebbe far salire il costo dell’elettricità da 120-150 a 140-180 euro per megawattora, con un impatto diretto sulle bollette delle imprese. Le piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore del tessuto produttivo italiano, sono particolarmente vulnerabili: per un’azienda manifatturiera media i costi energetici potrebbero crescere del 3-7 %, erodendo margini già sottili. L’eventuale impennata delle materie prime potrebbe avere effetti anche sull’inflazione, come già accaduto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. L’aumento dei prezzi, inoltre, potrebbe comprimere i consumi interni e frenare una crescita già rallentata. A suonare il campanello d’allarme sono gli analisti di S&P Global Ratings: «È altamente incerto come si evolverà il conflitto. I principali canali di trasmissione del rischio creditizio sono i fattori legati alla fiducia più ampia e quelli che potrebbero ostacolare la crescita economica, aumentare i costi di finanziamento e incidere sulla liquidità del sistema bancario e sulla qualità degli attivi».