Sabato 21 Giugno 2025
ANTONIO TROISE
Economia

Guerra Israele e iran, i mercati scommettono sulla tregua. Ma l’Italia è tra i Paesi più esposti

Il prezzo del petrolio ieri si è abbassato del 4% quando si è diffusa la notizia che l’Iran vorrebbe negoziare. L’eventuale impennata delle materie prime potrebbe avere effetti pesanti anche sull’inflazione

Guerra Israele e iran, i mercati scommettono sulla tregua. Ma l’Italia è tra i Paesi più esposti

Roma, 17 giugno 2025 – I mercati scommettono su una guerra lampo e tirano un sospiro di sollievo dopo aver bruciato, venerdì, circa 200 miliardi di euro. Ieri quasi tutti i listini europei hanno chiuso in rialzo: da Milano (+1,2 %) a Parigi e Francoforte (+0,7 %). Lo stesso è avvenuto, sempre ieri, all’apertura delle contrattazioni a Wall Street. Hanno invertito la rotta anche i contratti sul greggio WTI e Brent, i due principali benchmark petroliferi, scesi del 3,4% rispettivamente a 69,5 e 71,4 dollari al barile. Allarme rientrato, almeno per il momento, anche per il traffico nel fondamentale Stretto di Hormuz, crocevia del commercio petrolifero mondiale, dove si è registrato solo un lieve calo: 111 navi transitate il 15 giugno contro le 116 del 12 giugno, elemento che suggerisce l’assenza di interruzioni significative dei flussi di greggio.

N14F-C
Il fumo si alza per il secondo giorno consecutivo dal deposito di petrolio di Shahran, a nordi di Teheran, colpito – secondo il regime – da un attacco israeliano
Approfondisci:

L’Iran vuole chiudere lo Stretto di Hormuz: perché è così importante per l’economia mondiale

L’Iran vuole chiudere lo Stretto di Hormuz: perché è così importante per l’economia mondiale

Se dovesse concretizzarsi una ripresa dei colloqui, ciò potrebbe ridurre ulteriormente le tensioni sul mercato energetico globale e favorire una stabilizzazione delle quotazioni. Ma è presto, ovviamente, per abbassare la guardia e archiviare l’emergenza. Gli effetti per famiglie e imprese della guerra fra Israele e Iran potrebbero infatti essere pesanti, soprattutto se si arrivasse al blocco dello Stretto di Hormuz. In tal caso si verificherebbe una strozzatura dell’export di petrolio di Emirati, Kuwait e Iraq, e il prezzo del greggio potrebbe addirittura raddoppiare rispetto alle quotazioni di ieri. Qualche segnale di preoccupazione è già emerso con l’impennata del prezzo della benzina fino a 1,7 euro al litro. E la fiammata dei prodotti energetici avrebbe effetti a cascata sui prezzi di tutte le materie prime. A pagarne le conseguenze più pesanti sarebbero Paesi come l’Italia, dove i costi di un prolungamento del conflitto potrebbero attestarsi, nel breve periodo, fino a 10 miliardi di euro. Il nostro Paese, che importa oltre il 90% del gas naturale e il 95% del petrolio che consuma, è fra i più esposti in Europa alle fluttuazioni dei prezzi energetici. Gli aumenti di gas e petrolio registrati il 13 giugno, poche ore dopo l’attacco di Israele, si sono subito riflessi sui costi dell’elettricità, dato che circa il 40% della produzione elettrica nazionale dipende dal gas. Un incremento del 10-15 % dei prezzi del gas potrebbe far salire il costo dell’elettricità da 120-150 a 140-180 euro per megawattora, con un impatto diretto sulle bollette delle imprese. Le piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore del tessuto produttivo italiano, sono particolarmente vulnerabili: per un’azienda manifatturiera media i costi energetici potrebbero crescere del 3-7 %, erodendo margini già sottili. L’eventuale impennata delle materie prime potrebbe avere effetti anche sull’inflazione, come già accaduto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. L’aumento dei prezzi, inoltre, potrebbe comprimere i consumi interni e frenare una crescita già rallentata. A suonare il campanello d’allarme sono gli analisti di S&P Global Ratings: «È altamente incerto come si evolverà il conflitto. I principali canali di trasmissione del rischio creditizio sono i fattori legati alla fiducia più ampia e quelli che potrebbero ostacolare la crescita economica, aumentare i costi di finanziamento e incidere sulla liquidità del sistema bancario e sulla qualità degli attivi».