Giovedì 19 Giugno 2025
Alessia Peretti, Simone Cantarini – Euractiv
Europa

Conte contro il riarmo europeo insieme all’ex ministro greco Varoufakis e all’economista Sachs

I tre sono intervenuti all’evento “The Economic Conditions for Peace” organizzato al Parlamento europeo a Bruxelles

Giuseppe Conte (ImagoE)

Giuseppe Conte (ImagoE)

Roma, 10 giugno 2025 – Mentre in Europa si discute sempre meno di transizione ecologica e sempre più di “difesa comune”, si sta consumando un cambio di paradigma industriale e politico senza precedenti — e soprattutto senza dibattito pubblico. È il j’accuse lanciato dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, e condiviso dall’ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, e dall’economista americano Jeffrey Sachs. I tre sono intervenuti all’evento “The Economic Conditions for Peace” organizzato al Parlamento europeo organizzato dagli eurodeputati del Movimento cinque stelle (The Left).

Durante l’evento sono state lanciate fortissime critiche al percorso di riarmo avviato dall’Unione europea. Per Conte, più che una strategia condivisa, si tratta di una deriva solitaria: “Il riarmo è un’illusione di rafforzamento dell’Europa. Così come è stato concepito, significa solo che i Paesi che possono permetterselo si avviano verso una forsennata spesa militare, mentre gli altri rimarranno indietro”.

Il rischio, ha denunciato l'ex premier italiano, è la trasformazione di un’Unione nata sull’acciaio e sul carbone in un’Unione riconvertita su blindati e munizioni, il tutto senza una decisione collettiva, senza una consultazione popolare. “Stiamo passando dal Green Deal al Military Green Deal. Dalla transizione verde alla transizione militare”.

La Germania si riarma, l’Europa si divide

Conte ha definito la riconversione industriale tedesca “un cambio di rotta drammatico”. Per il leader cinquestelle ed ex premier italiano, stabilimenti che fino a ieri erano dedicati all’automotive oggi producono carri armati, mentre Berlino promette investimenti miliardari in difesa senza aspettare alcun quadro europeo.

“La Germania ci ha imposto l’austerità per anni e oggi, senza alcuna discussione comune, pianifica di diventare una superpotenza militare. Che ne è del mercato comune europeo?”.

Secondo Conte, il meccanismo che si sta innescando è pericolosamente selettivo: “Chi può, si attrezza. Chi non può, resta indietro. Ma attenzione: ci stanno prospettando una riconversione industriale senza discussione, senza voto, senza democrazia”.

A fare da sfondo, il declino di un’egemonia economica che ha perso la bussola secondo Conte. “Tutto questo è la chiara dimostrazione del declino di un modello in affanno. Siamo passati da un globalismo deregolamentato — in cui gli Stati Uniti hanno aperto i mercati mondiali aumentando anno dopo anno la loro esposizione debitoria — a un protezionismo unilaterale, pensato per impedire le esportazioni e bloccare la centralizzazione del capitale in mani orientali”.

L’escalation militare come destino inevitabile

“La guerra arriverà perché sarà il coronamento del fatto che l’avevamo detta”. Conte evoca il paradosso storico per cui un modello fondato sulla sicurezza assoluta finisce col generare l’insicurezza totale. Perché ogni atto di riarmo genera una contro-risposta. Ogni incremento di produzione bellica alimenta la percezione di una minaccia — e se questa minaccia non si materializza, rischia di dover essere creata per giustificare la spesa.

Il timore non è solo quello di una corsa agli armamenti. È la creazione di un’industria che si autosostiene: “Quando questo piano di armamento sarà finito — tre anni, quattro, cinque — cosa faremo? Una nuova riconversione industriale, quella che oggi non vogliamo fare?”.

Conte ha lanciato un appello al “demos europeo che ancora manca” e ha denunciato il rischio di una nuova disgregazione continentale: “Se continuiamo così, distruggeremo il modello sociale europeo. E chi si sentirà minacciato non rimarrà a guardare. Aumenterà la sua produzione militare, risponderà. E alla fine, un incidente accadrà”.

L’esortazione a “parlare" con la Russia

A dare manforte alla posizione dell’ex premier e leader pentastellato anche l’ex ministro delle Finanze greco e l’economista statunitense Jeffrey Sachs, tra i più noti critici dell’approccio occidentale al conflitto russo-ucraino.

Entrambi hanno lanciato un duro j’accuse alla leadership europea. Secondo Varoufakis “a Bruxelles si sta cercando di mantenere i posti di lavoro sostenendo la menzogna che la NATO ha dovuto espandersi a est per contrastare la Russia”.

Per l’ex ministro delle Finanze, l’idea che la Russia voglia invadere l’Europa è “una menzogna”, perché una tale operazione sarebbe ardua per Mosca. Varoufakis ha lanciato un invito a lavorare contro quello che ha definito un nuovo "keynesismo militare" europeo, esortando a non usare gli asset russi congelati "per finanziare nuovi missili", ma lavorare per trovare invece “un modo per negoziare con Mosca e stabilire un trattato di sicurezza omnicomprensivo tra Russia ed Europa”. Questo, ha affermato, “è il mio messaggio alla Commissione europea e alla NATO”.

Una posizione simile quella espressa dall'economista Sachs che, intervenendo prima dell’ex premier italiano e del ministro delle Finanze greco, ha sottolineato il fallimento dell’Europa dal punto di vista diplomatico.

“Non c’è diplomazia in Europa, se non il fatto di parlare all’interno dell’Europa o forse al signor Zelensky o appunto pregare dall’altra parte dell’Atlantico”, ha affermato.

Una delle accuse più gravi ha riguardato la passività europea rispetto alla crescente tensione con Mosca, culminata – secondo Sachs – in provocazioni che hanno contribuito all’escalation nucleare russa. In particolare, l’attacco ucraino alla triade nucleare russa avvenuto a inizio giugno rappresenterebbe una svolta drammatica.

“Abbiamo fatto un passo importante verso il disastro quando abbiamo supportato lo SBU (il servizio di sicurezza ucraino) nell’effettuare le azioni della scorsa settimana e vediamo già i risultati degli attacchi missilistici che sono arrivati in risposta nei giorni recenti da parte della Russia”. Questa è stata, secondo Sachs, “una delle provocazioni più importanti dei tempi moderni”.

A fronte di questa situazione, Sachs ha denunciato la mancanza di volontà – o di coraggio – da parte dei leader europei di spiegare alla propria opinione pubblica le vere ragioni della crisi.

“I leader europei sapevano che l’allargamento della NATO avrebbe destabilizzato, avrebbe provocato questa situazione e sarebbe stato visto come una minaccia diretta, comprensibilmente, alla Russia. […] Ma non hanno parlato ai cittadini in maniera onesta”.

Sachs ha invitato l’Europa a riscoprire una via diplomatica, riaffermando la possibilità di un’Ucraina neutrale come già previsto negli anni ’90. “La soluzione ovvia è […] che l’Ucraina sarebbe stato un Paese neutrale”. E in una provocazione finale ha esortato i leader UE a tornare alla diplomazia “prima di arrivare a un disastro completo”, incontrando le controparti russe.