Roma, 15 giugno 2025 – Europa e Paesi Arabi vogliono un ritorno dalla diplomazia. E questo nuovo scontro tra Israele e Iran pone forte il tema della deterrenza, in un contesto nel quale diventa sempre più difficile impedire ai nemici di attaccare solo con la superiorità militare e tecnologica. Francesco Strazzari, docente di Relazioni internazionali all’Università Sant’Anna di Pisa, spiega come, in mezzo a tante incertezze, gli eventi di questi giorni forniscano già qualche spunto di riflessione.
Professor Strazzari, Gran Bretagna, Francia e Germania sembrano aver reagito in modo diverso rispetto agli eventi degli ultimi due giorni. Lo scontro in corso fra Israele e Iran, che ha minacciato direttamente gli alleati di Tel Aviv, può trascinare l’Europa in un conflitto più ampio in Medio Oriente?

“Diciamo che quando si parla di nucleare, le potenze che hanno capacità nucleare e che siedono in Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mi riferisco a Francia e Regno Unito, tendono a muoversi rispetto alle loro linee di lettura strategica. La Germania, quando si parla di Israele, tende storicamente a essere più cauta. C’è però qualcosa che tiene insieme tutto questo ed è il tentativo di riportare la discussione nell’alveo dei negoziati”.
Su chi può contare l’Europa in questo frangente?
“Gli europei, soprattutto il Regno Unito, stanno cercando un avvicinamento con i sauditi. A questo proposito, è interessante che il percorso negoziale si sia snodato fra Roma e Muscat, in Oman, ossia sulle seconde linee. Europa e mondo arabo hanno interesse che la situazione non degeneri in primo luogo per evitare un’esplosione del prezzo del petrolio. L’Iran ha poi minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz, dove passa il 20% del petrolio mondiale. E questo per il Vecchio Continente sarebbe un grosso problema”.
Ci sono Paesi importanti che si affacciano sul Mediterraneo e che stanno guardando con attenzione a quello che succede fra Tel Aviv e Teheran, in testa l’Egitto e la Turchia. Ankara su Gaza ha assunto una posizione ben precisa, ma al di là delle dichiarazioni sembra in attesa degli eventi…
“Non mi aspetto che, a parte l’aspetto puramente retorico , i Paesi confinanti con Israele diano alcun tipo di sostegno all’Iran. Egitto e Giordania hanno rapporti consolidati anche con gli Stati Uniti. Vi è poi da dire una cosa: sulla questione Gaza c’è un afflato civile più alto che rispetto all’attacco ai siti iraniani. Ma anche su quello, non si è andati oltre le parole. La Turchia, pur con le parole forti di Erdogan, non si è mossa di un millimetro. Non ho visto un atteggiamento ostativo alla volontà di Netanyahu di andare fino in fondo”.
Ci sono due attori importanti di cui non abbiamo ancora parlato: la Cina e la Russia. Pechino stava cercando di fare riavvicinare Iran e Arabia Saudita. Come sono presenti in questo conflitto?
“Non vogliono un cambio di regime a Teheran, ma parimenti, credo che non vogliano nemmeno un Iran dotato di arma atomica. Preferiscono una Repubblica Islamica all’interno di quella maggioranza che Pechino utilizza nella retorica di revisione dell’ordine globale come necessità di ribilanciare l’egemonia americana. Ma c’è un altro tema importante”.
Quale?
“Il 7 ottobre, in occasione del quale Israele è stato colto di sorpresa da una forza militare sulla carta molto inferiore per mezzi e capacità, è stato la fine della deterrenza. Gli equilibri strategici sono scossi dai progressi tecnologici sempre più veloci (il riferimento è anche ai droni, ndr). Non si riesce più a impedire al nemico di attaccare. Su scala storica, è possibile che si possa rallentare la corsa iraniana all’atomica. Ma il processo è partito e si inserisce in un problema più grande dello scontro Israele-Iran, ossia che cosa sia la deterrenza oggi nelle relazioni internazionali”.